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Paolo Gentiloni, “Er moviola”, che fa carriera perdendo di Luca Telese

Alla fine Renzi ottiene la sua fotocopia sbiadita: vita e opere di Paolo Gentiloni “Er moviola”, il premier che fa carriera perdendo di Luca Telese

Tutto ci si poteva immaginare dal caleidoscopio impazzito della fine del renzismo tranne che le dimissioni dello statista di Rignano propiziassero persino l’ascesa a Palazzo Chigi di Paolo Gentiloni. Paolo, detto “er moviola”, nella soave coloritura della lingua romanesca, per il suo piglio, la sua intraprendenza, il suo carisma sonnolento e rovesciato.
È vero che in politica si attraggono i contrari. Ed è vero che il professor Carlo Cipolla, nel suo indimenticabile “Allegro ma non troppo” scrisse un folgorante saggio sulla “prevalenza del cretino”, spiegando con arguto spirito di paradosso perché in Italia i mediocri abbiamo sempre e comunque la loro incredibile opportunità di carriera. Nel processo di continua degradazione che emana dal Potere, spiegava Cipolla, un mediocre sceglie sempre uno più mediocre di lui (in base al principio per cui non vuole avere ombra) finché l’ultimo della fila dei precettati non è talmente mediocre da precettare (inconsapevolmente) uno più mediocre di lui. La cosa buffa è che – come in un racconto umoristico – Paolo Gentiloni, in queste ore, diventa il nome più gradito da Renzi proprio per la sua mancanza di accento, di carattere, di personalità pubblica. Intendiamoci: Gentiloni non è un fesso, anzi. Ha gestito è amministrato per anni il Potere, prima all’ombra di Francesco Rutelli come sua Eminenza Grigia in Campidoglio, poi come sua Eminenza Grigia nella Margherita, quindi come dispensatore di potere dentro il Pd, curando l’orticello cruciale della Comunicazione e dell’Emittenza, e la scienza sofisticata della spartizione dei poteri nella sontuosa accademia lottizzatoria della Rai dei partiti. La carriera di Gentiloni ha qualcosa di unico e di fenomenale: procede per salti di qualità asimmetrici: più perde, più viene promosso. Moderato fini quasi alla sonnolenza, del tutto incapace di discorsi politici meno che soporiferi, Paolo è una persona squisita per modi e capacità di relazione. Quando era in numero due dalla squadra rutelliana, e i suoi palafrenieri – Michele Anzaldi e Filippo Sensi – già menavano con la clava del talento mediatico, Gentiloni interloquiva e mediava con tutti, amici e nemici, alleati e vittime. Quando si litigava con Tonino Di Pietro lui ci prendeva l’aperitivo, quando era guerra con l’ala democristiana della Margherita dispensava sorrisi, quando era nel Pd cercava punti di affinità con la costola socialista. Quando Rutelli con uno strappo abbandona il Pd, lui a sorpresa – ma con lungimiranza – non lo segue, e capitalizza la sua fedeltà alla Ditta.
Nobile di alto lignaggio, della famiglia dei conti Gentiloni Silverj, Nobili di Filottrano, di Cingoli e di Macerata. Pronipote di quel conte Vincenzo Ottorino Gentiloni che aveva portato, con il suo omonimo patto, i cattolici dentro la storia dei partiti di massa (e quindi dentro il Novecento), in barba al “Non expedit” con cui Pio IX aveva posto un veto alla partecipazione della vita politica nell’Italia liberale, Paolo Gentiloni nasce come tutti i moderati di mezza età estremista incendiario a vent’anni. Da bambino era così cattolico da condividere gli esercizi di catechesi con Agnese Moro. Da ragazzo era così estremista da scegliere il Movimento Studentesco di Mario Capanna per muovere i primi passi. A dicembre del 1970, a sedici anni, è ancora uno studente post montessoriano al liceo Tasso. A dicembre fugge di casa e scappa a Milano, la capitale del sessantotto italiano. Milita nei giorni caldi della contestazione nel Movimento dei Lavoratori per il socialismo. Poi, passata la prima ubriacatura, aderisce al gruppo de il manifesto, e si iscrive al Pdup di Lucio Magri e di Luciana Castellina. Il futuro ministro degli Esteri è in questi anni un pacifista integrale, inizia a scrivere nelle riviste antimilitariste. In quel periodo conosce i suoi amici di una vita. Ad esempio Ermete Realacci, futuro segretario di Legambiente, che dice di lui: «Per dire che uno è un cretino, Paolo è capace di perifrasi fredde, taglienti ma non offensive, del tipo: ‘Non sono sicuro che io mi comporterei così’…». È Chicco Testa che gli fa fare il primo salto di qualità, nel 1984, favorendo la sua nomina a direttore di Nuova Ecologia. Ed è in questi anni che stringe il rapporto decisivo con Rutelli, un radicale che si sta avvicinando alle tematiche verdi. Nel 1989 i Verdi Arcobaleno di Rutelli e a Gentiloni conquistano il quorum alle europee. Nel 1993 l’ex radicale diventa sindaco di Roma e Paolo entra in Campidoglio come portavoce dell’Astro nascente della politica italiana. È il teorico del movimento delle Centocittà (ribattezzato da Giuliano Amato, con geniale causticità, “le Centopadelle”) con cui Rutelli passa alla politica nazionale. Poi c’è un lungo viaggio di scissioni e riaggregazioni, l’Asinello, la Margherita (che gli regala il laticlavio ministeriale, alle Comunicazioni) fino al Pd. Memorabile la battuta perfida consegnata a Maria a Teresa Meli quando Rutelli era finito in minoranza nella Margherita: “Figuratevi se mi faccio comandare da una banda di ex democristiani” (se la ricorderà Mattarella?). E memorabile anche la cavalcata per le primarie del sindaco di Roma da candidato renziano nella Capitale: arriva terzo (su tre) dopo Ignazio Marino e David Sassoli (con il 15%). Quella che per chiunque sarebbe stata una rovinosa caduta, per lui diventa – in virtù del teorema Cipolla – un titolo di benemerenza, un credito, un trampolino. Renzi, infatti, ama molto quelli che non sfavillano. Così la fortuna di Gentiloni è dietro l’angolo: quando nasce il governo dell’uomo di Rignano nella casella degli Esteri c’è Federica Mogherini. Ma quando la Mogherini vola in Europa, in pole position per sostituirla c’è una ragazza talentuosa, sgobbona e brillante: Lia Quartapelle: “Troppo giovane e inesperta”, secondo la moral suasion di Giorgio Napolitano, che indica il terzo arrivato delle primarie capitoline. Ecco che Gentiloni si ritrova miracolato alla Farnesina, dove amministra con il suo temperamento sonnolento le faccende più spinose. Dice di lui l’amico Anzaldi: ” È uno sgobbone, uno che approfondisce i dossier fino all’ultima pagina – sostiene Il deputato del Pd – un perfezionista che non sopporta intromissioni improprie: quando era ministro scriveva sul suo portatile provvedimenti e circolari e poi portava il testo a casa: i superburocrati apprendevano tutto a cose fatte». Però sul caso Regeni Gentiloni viene umiliato dal regime di Al Sisi, si mostra più realista del re, incassa figuracce su figuracce, che culminano nell’occultamento de corpo da parte dei ribelli libici, e nei depistaggio da parte del governo del Cairo. Ancora peggio si comporta nei giorni del golpe turco. Con il suo consueto tempismo, si trova a twittare messaggi di solidarietà al suo omologo di Ankara e al regime di Erdogan, proprio nelle ore in cui i mozzaorecchie tirchi danno il via alle repressioni e alle purghe. Adesso, in omaggio all’adagio di Cipolla, Renzi immagina di cedergli lo scettro, convinto di trovare in lui un uomo malleabile. Chissà che “Er moviola”, una volta nel stanza dei bottoni, non sorprenda con uno di quei guizzi che si prepara in una vita, e non regali una sorpresa anche a lui.

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