Poco accade per caso. La pubblicazione della bozza di una nota del Servizio del Bilancio del Senato della Repubblica sul disegno di legge recante “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione” porta le stimmate dell’infortunio, ma tale probabilmente non è. Un tempo si diceva, voce da sen fuggita. Vedremo se le osservazioni di buon senso formulate dai funzionari di una delle istituzioni del nostro Paese possa costituire occasione di riflessione nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.
Si tratta di una rivelazione del pasticcio asimmetrico che si sta determinando per volontà della Lega Nord, con l’assenza del governo di Giorgia Meloni. Nascerà, se non si ferma prima questa macchina delle diseguaglianze, una Italia a due velocità, con le regioni forti che potranno acquisire responsabilità e poteri, a danno delle altre, che resteranno sganciate da questa riforma, con rischi gravi per la solidarietà nazionale, l’eguaglianza dei cittadini nei confronti delle prestazioni essenziali, lo sviluppo delle regioni marginali.
Il cosiddetto disegno di legge Calderoli viene smontato dal documento del Servizio di Bilancio del Senato in tutte le sue componenti: emerge chiaramente la mostruosità che si sta determinando ai danni della Repubblica italiana, con tutte le disparità che accentua, sino a frantumare sostanzialmente dalle fondamenta l’architettura della costituzione repubblicana.
Intanto, per determinare una distrazione di massa, il Governo ha aperto un tavolo di confronto con le forze di opposizione sugli scenari possibili di riforma costituzionale, mentre il vero grimaldello per distruggere l’impianto della costituzione viaggia con una sua dinamica autonoma. Ci troviamo di fronte ad una asimmetria della riforma costituzionale destinata ad avere pesanti ripercussioni sul futuro dei cittadini.
All’articolo 2 si prevede che l’atto d’iniziativa sia deliberato dalla Regione, sentiti gli enti locali, secondo le modalità e le forme stabilite nell’ambito della propria autonomia statutaria. L’atto è trasmesso al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali e le autonomie che, acquisita entro trenta giorni la valutazione dei Ministri competenti per materia e del Ministro dell’economia e delle finanze, anche ai fini dell’individuazione delle necessarie risorse finanziarie da assegnare ai sensi dell’articolo 14 della legge 5 maggio 2009, n. 42, avvia il negoziato con la Regione richiedente ai fini dell’approvazione dell’intesa. Decorso il predetto termine, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari regionali e le autonomie avvia comunque il negoziato.
Il pallino sta dunque in mano alle Regioni: di quelle che se lo possono permettere, come vedremo più avanti. Lo schema di intesa preliminare negoziato tra Stato e Regione, corredato di una relazione tecnica redatta ai sensi dell’articolo 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, è approvato dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie ed è immediatamente trasmesso alla Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, per l’espressione del parere, da rendere entro trenta giorni dalla data di trasmissione.
Dopo che il parere è stato reso dalla Conferenza unificata e comunque decorso il relativo termine, lo schema di intesa preliminare è immediatamente trasmesso alle Camere per l’esame da parte dei competenti organi parlamentari, che si esprimono con atti di indirizzo, secondo i rispettivi regolamenti, entro sessanta giorni dalla data di trasmissione dello schema di intesa preliminare, udito il Presidente della Giunta regionale interessata.
Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, valutato il parere della Conferenza unificata e sulla base degli atti di indirizzo degli organi parlamentari e comunque una volta decorso il termine di sessanta giorni, predispone lo schema di intesa definitivo al termine di un ulteriore negoziato, ove necessario.
Lo schema di intesa definitivo è trasmesso alla Regione interessata, che lo approva secondo le modalità e le forme stabilite nell’ambito della propria autonomia statutaria, assicurando la consultazione degli enti locali. Entro trenta giorni dalla data della comunicazione dell’approvazione da parte della Regione, lo schema di intesa definitivo, corredato di una relazione tecnica redatta ai sensi dell’articolo 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, anche ai fini del rispetto dell’invarianza finanziaria di cui all’articolo 8, comma 1, su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, è deliberato dal Consiglio dei ministri.
Con riferimento alle modalità di finanziamento delle funzioni attribuite alle Regioni attraverso compartecipazioni al gettito di uno o più tributi, il Servizio del Bilancio segnala, in linea generale, le principali criticità che potrebbero derivare dall’utilizzo delle compartecipazioni al gettito di tributi erariali maturati nel territorio regionale:
nel caso di un consistente numero di funzioni oggetto di trasferimento potrebbe profilarsi l’eventualità di una incapienza delle compartecipazioni regionali sui tributi statali;
le regioni più povere – ovvero quelle con bassi livelli di tributi erariali maturati nel territorio regionale – potrebbero avere maggiori difficoltà ad acquisire le funzioni aggiuntive;
le risorse attribuite mediante compartecipazione sono influenzate dal gettito del tributo erariale, che a sua volta dipende dal ciclo economico che caratterizza in un dato momento il Paese. In una fase avversa dell’economia è lecito aspettarsi una riduzione del gettito del tributo erariale e una riduzione delle risorse da compartecipazione in assenza di una sua rideterminazione;
la compartecipazione sui gettiti dei tributi erariali limita i margini di manovra delle regioni rispetto agli effetti determinati dalle politiche di intervento del governo centrale sui medesimi tributi, salvo poter ricorrere ai propri spazi di autonomia tributaria. In altre parole, con le compartecipazioni le regioni non hanno quel margine di manovrabilità tipico dei tributi propri in quanto è assente la potestà di variazione dell’aliquota stabilita dallo Stato.
L’attribuzione delle funzioni alle regioni potrebbe far venir meno il conseguimento di economie di scala che sono assicurate dal finanziamento statale dei servizi collettivi. A titolo esemplificativo si segnala che a legislazione vigente la funzione sanità delle regioni prevede una compartecipazione del 70,14 per cento dell’IVA come determinata in riferimento all’anno 2020 dal DPCM 10 dicembre 2021, dovuto alla presenza dei costi fissi indivisibili legati all’erogazione dei servizi la cui incidenza aumenta al diminuire della popolazione.
Va sottolineato che l’attuazione del disegno di legge proposto e di ciascuna intesa che dovesse essere approvata, con la relativa legge, in sua attuazione, non comporta nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Ogni modifica in tal senso potrà essere effettuata solo mediante specifici finanziamenti che di volta in volta debbono essere previsti preventivamente negli atti di trasferimento delle funzioni.
E’ evidente che le regioni che dovessero trovarsi in una condizione di livello equivalenti di prestazioni sotto la soglia della sufficienza finanziaria non potranno esercitare un potere che invece potrà essere esercitato da quelle regioni che già oggi si trovano in una condizione adeguata o migliorativa, ed anche in questo caso le regioni del centro nord sono in condizione di vantaggio rispetto al Mezzogiorno. – tratto da TERRAMIA