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Il solito film di Cosimo Recupero

Il solito film di Cosimo Recupero

Renzi e Calenda si sono lasciati. Il terzo polo non esiste più o, meglio, non ha mai iniziato ad esistere. E’ vero. Questa cosa è già di qualche giorno fa, quindi che senso ha scriverne adesso? La verità è che ci abbiamo messo un po’ a capire se la fine di un sogno, o di un incubo, fate voi, fosse classificabile come notizia. E la risposta è “no”.

In effetti la vera notizia non è che Renzi e Calenda si siano lasciati, quanto il fatto che fossero riusciti a stare insieme per ben sei mesi. Un tempo infinito per due che credono, ciascuno per sé, che senza di loro il mondo smetterebbe immediatamente di girare.

E guarda caso questo coitus interruptus della vita politica italiana è avvenuto all’indomani dell’assunzione da parte di Matteo Renzi della direzione de Il Riformista. Probabilmente l’ex sindaco di Firenze vuole tentare l’ennesima sortita per risalire la china dei sondaggi che lo inchiodano al due per cento. Avrà pensato a quella famosa frase di Lenin che diceva: “datemi un giornale e vi fonderò un partito”. Prima però che Renzi si imbarchi nell’ennesima sfida oltre i suoi limiti ci corre l’obbligo di ricordargli che il Riformista non è la PRAVDA e lui non è Lenin.

Al di là di ogni ironia, però, nella fine dell’accordo Renzi-Calenda la notizia c’è ma bisogna avere un po’ di naso per la politica per comprenderla.

La fine del terzo polo porta con sé la fine di un modo stesso di intendere la politica.

Ormai i partiti sono comitati elettorali personali, finanziati non si capisce bene da chi. Sono dei club esclusivi nei quali entri se vuoi fare politica, dicono loro. Ma loro per “fare politica” intendono soltanto l’accettare la sudditanza al capo supremo, il segretario a vita che magari ha dalla sua qualche robusto e anonimo finanziatore, qualche editore compiacente ed un certo scilinguagnolo che, ai tempi della politica fatta solo di chiacchiere, non guasta mai.

E questo è tanto vero che i “padri nobili” di questi poltronifici politici non si preoccupano nemmeno di dare alla loro creatura un nome decente e, soprattutto, che indichi quale sia la cultura politica del partito, la sua linea, i suoi progetti. Ed è così che nascono formazioni politiche con nomi stravaganti come Italia Viva, come se gli altri fossero tutti morti, o Movimento 5 Stelle, o Italia dei Valori, qualche anno fa. Partiti che poi confluiscono in aggregazioni più grandi dai nomi ancora più singolari, quasi burocratici, come Terzo Polo, appunto.

Con la crisi del terzo polo in realtà si certifica proprio le fine dei partiti personali che, nascendo per cristallizzare all’infinito leadership personali, nel momento in cui gli elettori chiedono un rinnovamento non fanno altro che cambiare nome e simbolo, lasciando però invariato il personale politico con tutto ciò che ne consegue.

Da questo ne deriva che si aprono spazi per quanti hanno ancora una visione forse romantica ma concreta dei partiti. Sarebbe nuovamente il tempo dei partiti storici, con nomi chiari che abbiano già in sé l’idea, il progetto, il sogno di paese. Partiti capaci di selezionare, formare e controllare la classe dirigente a livello locale nazionale, favorendo anche la crescita di chi, magari partendo dai territori, abbia voglia e talento per salire la scala delle istituzioni per dare un contributo al Paese. Ma temiamo che anche questa volta nessuno coglierà l’occasione e che gli italiani saranno costretti, ancora una volta, a vedere il solito film.

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