Poniamo accanto due immagini, una di ieri, in bianco e nero, e una di oggi, a colori. Per scherzo potremmo dire al lettore: Trova le differenze. Ma questo non è uno scherzo.
Nell’immagine di ieri c’è il duce d’Italia, Benito Mussolini, come da propaganda dell’Istituto Luce del Ventennio, immortalato in veste di pilota, in quella di oggi la presidente del Consiglio Giorgia Meloni che siede ai comandi di un F35, un aereo caccia in occasione della visita al villaggio dell’Aeronautica Militare allestito in Piazza del Popolo per i 100 anni della forza aerea; le è accanto il ministro della Difesa, il fido Crosetto stranamente non in tenuta militare.
La presidente incita i bambini delle classi delle elementari che l’acclamano a cui risponde come una diva mandando baci, come una novella Wanda Osiris, pardon “Osiri” come da precetto autarchico che imponeva in tutto il regno l’italianizzazione dei nomi stranieri. Mentre un coretto di bambini, futuri patrioti, sventola una bandierina tricolore e la chiama per nome, gridando a gran voce: “Giorgia Meloni, Giorgia Meloni!”.
Questa è un’istantanea del III millennio che tanto riecheggia il vecchio secolo, il Novecento, quel secolo breve falciato dalla dittatura fascista, dalla seconda guerra mondiale che tanta miseria e sangue è costata agli italiani e alle italiane, le tante donne rimaste da sole a casa a fronteggiare le asprezze di quegli anni quando gli uomini erano stati chiamati a morire al fronte.
Ieri nella dittatura fascista di Mussolini il disciplinamento era stato gradualmente esteso a tutto il corpo sociale del Paese, aveva trasformato gli italiani, assurti a simbolo dello “Stato etico” teorizzato dai filosofi di regime, in un popolo ligio e compatto, che aveva interiorizzato i due caratteri fondanti ‘il corpo’ e ‘la parola’, emblemi della cultura del regime.
Un regime che aveva imposto la sua ideologia, presentata come ‘un credo’, che aveva attuato e radicato un processo di irreggimentazione negli anni sempre più onnicomprensivo.
Un Paese in cui Lui era amato ed osannato. Lui era Benito Mussolini, politico abile a spettacolarizzare, a far sentire la sua vicinanza al popolo: quando parlava nelle occasioni pubbliche si slanciava verso la folla come a volerla abbracciare e con il proposito di farle sentire la sua vicinanza. Seguiva poi un rituale preciso, compiva dei gesti che si addicevano all’immagine figurativa del tiranno classico, allargava le braccia in uno slancio ecumenico, si arrestava e aspettava la conferma della folla che, suggestionata, lo applaudiva e lo incoraggiava a proseguire, avvolgendolo con grida entusiastiche.
Sono andata a recuperare una pagina antologica tratta dal Libro della IV classe del 1935 e “Bandiere alle finestre” una pagina tratta dal Libro della II classe del 1936, entrambe celebrano il 28 ottobre 1922, anniversario della Marcia su Roma (Cfr. 1943-1945, l’Italia in camicia nera, Patrizia Zangla, Ed. Leone, Milano).
Nel Libro della II classe, al cui interno compaiono anche le foto del «nostro re soldato» perché al tempo l’Italia è monarchica, si legge che la data della marcia su Roma «è solenne» e va ricordata «con riconoscenza» e che «…i fascisti e le camicie nere entrano in Roma e mettono tutti in rispetto. Arriva il Duce e dice: Via tutti i cattivi Italiani che non sanno far le cose per bene. Ora ci penso io e metto tutto a posto! Viva l’Italia!».
A questo punto si legge che i bambini sono invitati a fabbricare la propria bandiera di carta che dovrà sventolare da ogni finestra. Come da precetto imposto dal regime.
Bruno, il protagonista del racconto, risponde con tono fiero alla maestra: «Sissignora! Eia! Eia! Eia! Alalà!». Classica espressione di incitamento collettivo coniata da D’Annunzio per l’impresa fiumana, divenuta rituale fascista e segno di appartenenza, come viene spiegato nel libro “Il balilla Vittorio, il Libro della V classe Elementare” che lo affianca al popolare «A noi!», grido di promessa obbediente al duce.
Nelle letture prese in considerazione i bambini sono chiamati a riprodurre i comportamenti di gruppo che favoriscono la fascistizzazione, dunque i cori e lo sventolare delle bandierine tricolore.
Oggi siamo nel 2023, siamo in democrazia, la nostra è una Repubblica parlamentare, la nostra è una Costituzione antifascista, tuttavia assistiamo con cadenza quasi giornaliera ad una sistematica mistificazione della storia del Ventennio, una volta è l’attentato di via Rasella, un’altra è la strage nazifascista alle Forze Ardeatine, un’altra ancora è la proposta di legge che vieta gli inglesismi e potremmo proseguire.
Un inciso su via Rasella. Come storicamente e giudiziariamente dimostrato, quanto detto dal presidente del Senato Ignazio La Russa è inesatto: “E’ stata -ha detto, riferendosi all’attentato di via Rasella- una pagina tutt’altro che nobile della Resistenza: quelli uccisi furono una banda musicale di semi-pensionati e non nazisti delle SS”.
In realtà erano soldati del 3o battaglione reggimento di polizia Bozen; un mese prima dell’attentato di via Rasella, con un decreto Himmler stabilisce che i reggimenti di polizia dovevano prendere il nome di “Reggimenti di polizia SS”, dunque anch’essi formalmente inquadrati nelle SS, e risulta anche che non tutti i soldati fossero altoatesini.
La seconda carica dello Stato si è scusata della clamorosa gaffe, ma, scuse a parte, piacerebbe che onorasse il titolo con il silenzio, la riservatezza e il rispetto che questa funzione impone, super partes. Sempre.
Le quotidiane incursioni nella storia del fascismo e della Resistenza da parte dell’estrema destra rivelano contemporaneamente una tattica comunicativa utile al proselitismo e soprattutto la mancanza di conoscenza storica di quei fatti: i nostalgici del Ventennio non conoscono questa storia, negli anni hanno concepito una propria storia che -così revisionata- fa presa sui tantissimi altri che non la conoscono. Hanno dunque messo a punto un rovescismo storico, ovvero un capovolgimento storico che ha inquinato i fatti alla radice, con cui quotidianamente bombardano il Web.
A quel passato guardiamo con molta preoccupazione, gli italiani di allora hanno impiegato vent’anni per capire, oggi è necessario capire immediatamente.