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Regionalismo Differenziato e ricadute su salute dei cittadini

Il Regionalismo Differenziato e le ricadute sulla salute dei cittadini italiani
Con le modifiche al Titolo V della Costituzione introdotte dal Governo Amato nel 2001, si è aperta
la possibilità per le Regioni di attivare “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia
“riguardanti ben 24 materie che sono state riconosciute di potestà legislativa concorrente con lo
Stato e tra le quali spiccano la tutela e sicurezza sul lavoro, l’istruzione, la produzione il trasporto e
la distribuzione dell’energia e, ancora, la tutela della salute e il governo del territorio.
Attualmente il Ddl Autonomia, del leghista Roberto Calderoli, Ministro per gli Affari Regionali e le
Autonomie nel governo Meloni, mira a rendere operativa questa possibilità di Regionalismo
Differenziato (o Autonomia Differenziata) ed è di qualche giorno fa il “via libera” al provvedimento
da parte della Conferenza Stato-Regioni, con gli unici voti contrari di Toscana, Emilia Romagna,
Puglia e Campania. Mentre le prime regioni a statuto ordinario a richiedere l’autonomia
differenziata, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, sono state, già nel 2017,
la Lombardia, il Veneto e l’Emilia-Romagna.
È bene sottolineare che, qualora la proposta fosse approvata dal Parlamento, si innescherebbe
una via di non ritorno, in quanto l’annullamento degli effetti della legge sarebbe subordinato
all’accettazione di tale annullamento proprio da parte delle Regioni che avessero voluto
l’autonomia. Eventualità del tutto irrealistica.
L’Associazione Medici per l’Ambiente (ISDE-Italia), Medicina Democratica, l’Associazione
Cittadinanzattiva, l’Associazione Slow Medicine e l’Associazione dei Medici di Origine Straniera
in Italia (AMSI) sono fortemente contrari al Regionalismo Differenziato sia per le ricadute
sanitarie che per quelle ambientali. Aspetti che, tra l’altro, sarebbero destinati a influenzarsi
reciprocamente in maniera del tutto negativa.
La forma di regionalismo sanitario già attualmente presente ha, di fatto, di per sé già minato il SSN
per come è stato concepito dalla legge 833 del 1978, mentre la recente pandemia ha chiaramente
dimostrato come la sanità su base regionale non sia stata in grado di rispondere efficacemente ad
un’emergenza nazionale in nessuna parte del Paese. E ciò in alcune regioni per motivi strutturali,
in altre per scelte sbagliate di strategia sanitaria, orientate alla privatizzazione della sanità,
incentrata sugli ospedali e accompagnata dallo smantellamento della sanità territoriale a causa del
suo scarso appeal economico. Logica risposta alle evidenze mostrate dalla pandemia avrebbe
dovuto essere eventualmente il ritorno ad un Sistema Sanitario Nazionale unico e unitariamente
governato, non certo l’accelerazione della sua disgregazione attraverso il Regionalismo
Differenziato.
Le autonomie locali – non differenziate! – devono essere uno strumento che faciliti l’erogazione
dell’assistenza e non un ostacolo per l’universalità e l’equità del SSN; a tutti i cittadini va garantito
il diritto alla salute indipendentemente dalla propria fascia economica e regione di residenza, in
ossequio agli articoli 3 e 32 della nostra Costituzione. Il Regionalismo differenziato finirà, al
contrario, per legittimare normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio
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costituzionale di uguaglianza dei cittadini. Già oggi i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) risultano
insufficienti prevalentemente nell’area Centro-Sud dell’Italia, rispetto al Nord del Paese
Ma l’attuale regionalizzazione del sistema sanitario ha fatto sentire la sua negativa influenza anche
nell’ambito della concentrazione degli Operatori sanitari nelle varie aree del Paese. Il fenomeno
della migrazione sanitaria, le migliori condizioni di lavoro e le differenze di remunerazione legate
alle voci variabili dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro hanno reso più grave al Sud la carenza
di personale sanitario, soprattutto per alcune specialità. Situazione destinata a peggiorare
ulteriormente quando aumenterà, irreversibilmente, il divario, tra regioni ricche e regioni che
ricche non sono, delle risorse economiche destinate alla sanità.
Altro aspetto meritevole di sottolineatura, in quanto utilizzato di frequente strumentalmente, a
sostegno del Regionalismo Differenziato è quello riguardante i Livelli Essenziali di Prestazione
(LEP). Si tratta dei diritti civili e sociali che l’articolo 117 secondo comma, lettera m) della
Costituzione della Repubblica Italiana vuole che vengano garantiti su tutto il territorio nazionale.
La garanzia, cioè, per gli italiani di essere trattati allo stesso modo, ovunque residenti, nei diritti
civili e sociali. I Lep devono a tutt’oggi ancora essere precisamente definiti e, soprattutto,
adeguatamente finanziati, con risorse attualmente tutte da reperire. In ogni caso, l’iterativo
collegamento tra i Lep e il Regionalismo Differenziato appare del tutto infondato e strumentale,
trattandosi di due aspetti assolutamente autonomi ed anche dal diverso “peso” costituzionale.
Infatti, alla doverosa obbligatorietà dei Lep, fa da contraltare quella che è solo una mera
possibilità, quella del Regionalismo Differenziato. Da perseguire con determinazione i primi, da
evitare assolutamente il secondo.
Ma il pari diritto alla salute di tutti i cittadini italiani subirebbe un altro duro colpo per un aspetto
di cui troppo raramente si parla e che le associazioni promotrici del presente documento hanno
particolarmente a cuore. Quello della prevenzione primaria attraverso gli interventi sui
determinanti ambientali di salute. Si tratta dei fattori che attraverso l’inquinamento ambientale
determinano a livello globale – come ci informa l’Organizzazione Mondiale della Sanità – circa un
quarto delle patologie dell’adulto e addirittura un terzo di quelle dei bambini sotto i cinque anni.
Una riforma quale quella prevista dal Regionalismo Differenziato, con l’esasperazione del divario
economico tra regioni ricche e regioni povere, determinerebbe, per queste ultime, l’impossibilità
di un adeguato governo del territorio e dell’ambiente, cancellando la necessaria omogeneità di
intervento sui determinanti ambientali di salute su tutto il territorio nazionale. Con l’inevitabile
ricaduta di una maggiore incidenza di patologie ambiente correlate nelle regioni a minor reddito.
In analogia con quanto avviene nel sistema sanitario, inoltre, la legge 28 giugno 2016, n. 132, ch

che
ha istituito il Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente (SNPA), prevede che il
Sistema “attua i livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali (LEPTA)” e che il livello
qualitativo e quantitativo di attività debba essere garantito in modo omogeneo sul piano
nazionale. La legge stabilisce anche che i LEPTA e i criteri di finanziamento per il raggiungimento
dei medesimi “sono stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare
entro un anno dalla data di entrata in vigore della stessa legge”, cioè il primo gennaio 2017.
Decreto che ancora è di là da venire.
È evidente come la mancata applicazione della legge, continui a trascinare la situazione di
notevole disomogeneità di attività da parte delle agenzie per la tutela ambientale nelle varie zone
del Paese, e costituisca un forte limite al loro funzionamento, in assenza di una fonte certa e
univoca di finanziamento, in quanto l’assegnazione delle risorse necessarie per il lor

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