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La guerra di Putin per restaurare l’impero zarista

La guerra di Putin per restaurare l’impero zarista. La pace deve garantire una Ucraina libera, indipendente, sovrana e integrale.
È trascorso un anno dal 24 febbraio 2022, giorno in cui Putin scatenò la sua brutale aggressione di
stampo neonazista all’Ucraina. Tre giorni prima, in un discorso preparatorio all’invasione, aveva
rivelato chiaramente il disegno imperialista di ispirazione neozarista e gli obiettivi strategici che la
sua guerra si proponeva di realizzare: “Vorrei sottolineare ancora una volta che l’Ucraina non è solo
un paese vicino per noi. È una parte inalienabile della nostra storia, cultura e spazio spirituale”,
aveva esordito infatti il nuovo zar del Cremlino, aggiungendo che quel paese era storicamente terra
russa, che “da tempo immemorabile” i suoi abitanti “si chiamano russi e cristiani ortodossi”, e che a
separare “ciò che è storicamente terra russa” furono “Lenin e i suoi soci subito dopo la rivoluzione
del 1917”. Un fatto “incomprensibile e persino folle”, che secondo lui si poteva spiegare solo con
l’obiettivo dei bolscevichi “di rimanere al potere ad ogni costo, assolutamente ad ogni costo”.
La concezione imperialista di Putin non poteva essere espressa più chiaramente: considerare valido
e legale, e quindi da restaurare, solo l’impero zarista di cui l’Ucraina era parte integrante (non
importa se come una delle tante nazioni oppresse dall’imperialismo “grande russo”), e dichiarare
illegale e frutto di un “tradimento” di Lenin e dei bolscevichi, che la favorirono, la costituzione
dell’Ucraina in Stato indipendente dopo la Rivoluzione d’Ottobre, che successivamente aderì
liberamente all’URSS progettata e realizzata da Lenin e Stalin.

Nostalgia dell’impero zarista, non certo dell’URSS
Un incallito reazionario e anticomunista come lui non poteva concepire che i bolscevichi guidati da
Lenin e Stalin semplicemente applicassero e rispettassero con coerenza i principi scritti nel loro
programma. Principi per i quali i proletari e i popoli oppressi di tutte le nazionalità dell’impero
zarista avevano versato il sangue nella rivoluzione e nella guerra civile per difenderla, fondati sulla
libera associazione delle nazioni dell’ex impero zarista all’URSS e la libertà di separarsi in qualsiasi
momento. Con questo Putin mostrava chiaramente che il suo disegno non era affatto quello di
restaurare “l’impero sovietico”, di cui lo si accusava in Occidente, bensì l’impero zarista, avendo in
odio tutto ciò che è venuto dopo la sua fine, a partire dall’URSS socialista. Cosa che del resto
ammette alla luce del sole, rievocando sempre più le gesta dei grandi zar a cui dice di ispirarsi.
Secondo il suo ministro degli Esteri, Lavrov, “egli ascolta solo tre consiglieri: Ivan il terribile,
Pietro il grande e Caterina la grande”. Cioè proprio quegli zar che dal 1500 fino al 1700 fecero
sempre più grande ed egemonico l’impero di tutte le Russie.
Nel successivo discorso che tenne lo stesso giorno dell’invasione, Putin dichiarò di aver ordinato
non la guerra ma “un’operazione militare speciale”, avente lo scopo di proteggere le popolazioni
russofone del Donbass dal “genocidio perpetrato dal regime di Kiev” e di “smilitarizzare e
denazificare l’Ucraina”: “Non è nostra intenzione occupare il territorio ucraino. Non abbiamo
intenzione di imporre niente a nessuno con la forza”, aveva spergiurato il nuovo zar dopo aver già
dato l’ordine d’attacco. Oggi sappiamo bene quanto quelle parole fossero false, e che il suo obiettivo
era proprio quello del cambio di regime a Kiev e di impadronirsi di tutta l’Ucraina; anche se poi la
resistenza dell’esercito ucraino guidata da Zelensky si è rivelata un ostacolo inaspettato e
insormontabile per la sua armata neonazista, che ha dovuto ripiegare e chiudersi in difesa nei pochi
territori occupati nel Sud-Est dell’Ucraina, sfogando la sua rabbia impotente in bombardamenti
terroristici contro obiettivi civili e in massacri indiscriminati della popolazione, e macchiandosi
anche di innumerevoli crimini di guerra nelle zone occupate.

Putin continua a perseguire il suo disegno neozarista
Ma anche se l’orso russo si è rotto i denti con l’osso duro della resistenza ucraina, non è detto che si
rassegni a smettere di perseguire il suo disegno di restaurazione dell’impero zarista. Il discorso
pubblico bellicista che Putin ha fatto lo scorso 21 febbraio, per celebrare l’anniversario della sua
“operazione militare speciale”, dimostra anzi che egli continua ad accarezzarlo e rilanciarlo più che
mai. Infatti continua a parlare dei territori del Donbass come “nostre terre storiche”, e dell’intera
Ucraina come “territori storici” della Russia che “oggi si chiamano Ucraina”, esattamente come si
esprimeva Hitler nei confronti dei Sudeti cecoslovacchi e della stessa Austria. Rovesciando la
frittata accusa l’Occidente di perseguire “la sconfitta strategica della Russia” servendosi
dell’Ucraina, e che ciò rappresenta “una minaccia esistenziale per il nostro Paese”. Sottintendendo
che questa minaccia giustificherebbe l’uso di armi nucleari, tanto che per rimarcarlo ha annunciato
la sospensione della partecipazione della Russia al negoziato New Start sui missili balistici nucleari.
Rientrano nella riaffermazione del suo disegno neozarista anche la difesa della “nostra cultura, la
Chiesa ortodossa russa e le altre organizzazioni religiose tradizionali del nostro Paese”; i proclami
sulle “Sacre Scritture e i libri principali delle altre religioni mondiali” che sanciscono la famiglia
come “unione di un uomo e una donna”; e le invettive contro le élite occidentali” che perseguono la
“distruzione della famiglia, dell’identità culturale e nazionale, la perversione e l’abuso dei bambini,
compresa la pedofilia”. Ma più ancora vi rientra l’esaltazione che Putin ha fatto di Pёtr Stolypin, il
reazionario ministro dell’Interno di Nicola II autore della feroce repressione zarista dopo la fallita
rivoluzione del 1905, prendendo a prestito le sue parole per rivendicare “un diritto supremo: il
diritto della Russia ad essere forte”.
Se non bastasse ancora, a dimostrare che Putin non ha rinunciato per nulla al sogno di restaurare
l’impero zarista, c’è anche il discorso che ha fatto due giorni dopo (vigilia dell’anniversario
dell’invasione) ai veterani e alle forze armate nel celebrare il cosiddetto “Giorno del Difensore della
Patria”. Discorso in cui ha strumentalizzato addirittura le battaglie delle varie epoche storiche
contro gli invasori stranieri – quelle contro i cavalieri Teutonici, i mongoli, gli svedesi e Napoleone,
nonché naturalmente la guerra per sconfiggere il nazifascismo – per rigirare la frittata e paragonarle
sfrontatamente alla sua invasione dell’Ucraina, in cui la sua armata neonazista starebbe combattendo
“con coraggio ed eroismo” per proteggere “il nostro popolo nelle nostre terre storiche”.

Il nuovo zar e i suoi sostenitori in Italia
Tutto ciò dovrebbe far riflettere gli anticapitalisti e i pacifisti in buona fede che tengono un
atteggiamento di equidistanza tra la giusta guerra di resistenza dell’Ucraina e la criminale guerra di
aggressione neonazista di Putin, giustificando quest’ultima come provocata dalla NATO e non in
realtà dalle sue ambizioni neozariste; se non perfino credibile come sfida all’ordine mondiale
imperialista “unipolare” egemonizzato dagli USA. Cadendo in questo modo nella trappola di Putin
che cerca di sfruttare a suo vantaggio le contraddizioni nel campo degli antimperialisti e pacifisti,
che per sfuggire all’imperialismo dell’Ovest finiscono per appoggiarsi a quello dell’Est, invece di
combatterli entrambi e in ugual misura come nemici mortali dei popoli.
Non a caso l’Italia, dove queste contraddizioni sono più diffuse, è l’unico paese europeo ad essere
stato nominato da Putin nel discorso del 21 febbraio. E non soltanto perché sa di avere qui dei
vecchi alleati fedeli come Salvini e Berlusconi, ma anche nuovi sostenitori nella corrente trasversale
filoputiniana e ostile a Zelensky, di cui il trasformista “pacifista” Giuseppe Conte e Il Fatto
Quotidiano di Marco Travaglio si sono fatti portavoce, che si è formata in seguito all’invasione e al
prolungarsi della guerra, un prolungarsi della guerra che viene addebitato al presidente ucraino.
Basti pensare alla squallida difesa di Berlusconi, che ora è diventato un eroe per certi “pacifisti”
opportunisti come Vauro e Santoro, e all’attacco viscerale di questo giornale a Zelensky per aver
risposto per le rime, alla presenza della premier Meloni, al discorso filoputiniano del pregiudicato di
Arcore: sia Travaglio in un editoriale del 23 febbraio, sia Daniela Ranieri in un articolo sullo stesso
numero, hanno accusato il presidente ucraino di “ingerenza negli affari interni italiani” per aver
mancato di riguardo a Meloni attaccando il capo di un partito del suo governo; arrivando perfino a
rinfacciare alla premier neofascista di non aver fatto valere nella circostanza la sua “postura
sovranista e anti-establishment” (Ranieri), e di aver taciuto mostrando un “sovranismo a sovranità
limitata” (Travaglio). Insomma, non sarebbe stata abbastanza nazionalista per i loro gusti!

Il documento cinese in 12 punti sull’Ucraina
Nell’anniversario dell’invasione la Cina ha presentato un documento in 12 punti, impropriamente
chiamato “piano di pace”, che segna comunque la volontà di Pechino di rifarsi un’immagine e
rilanciarsi nel gioco internazionale, dopo un anno di ambiguità e reticenze sulla guerra in Ucraina in
cui non ha fatto sostanzialmente che coprire la Russia, come dimostra anche l’ultima astensione
all’Assemblea generale dell’Onu. Nel documento si riaffermano e dettagliano i capisaldi della
posizione cinese sul conflitto, come il rispetto della sovranità, indipendenza e integrità territoriale di
tutti i Paesi, l’abbandono della “mentalità della guerra fredda”, la richiesta di un cessate il fuoco
globale e la ripresa dei colloqui di pace, la sicurezza delle centrali nucleari, il non utilizzo delle armi
nucleari, la cessazione delle “sanzioni unilaterali non autorizzate dal Consiglio di sicurezza” (in cui
però la Russia ha il potere di veto, ndr), la ricostruzione post bellica a cui la Cina si offre di
partecipare.
Il piano cinese è stato “apprezzato” dal Cremlino tramite il portavoce di Putin, Peskov. Che però,
pur dicendo che sarà studiato “con grande attenzione”, ha ribadito la solita solfa che “per ora non
vediamo alcun prerequisito per mettere la questione su un binario di pace. L’operazione militare
speciale continua. Ci stiamo muovendo per raggiungere gli obiettivi prefissati”. É stato invece
bocciato seccamente dagli USA, dalla UE e dalla NATO, che ne hanno respinto tutti i punti tranne
il primo, quello sul rispetto della sovranità nazionale, evidenziando che il cessate il fuoco
permetterebbe solo alla Russia di guadagnare tempo e riorganizzare le forze per un’altra offensiva, e
che la cessazione delle sanzioni gioverebbe solo a Putin e alla Cina. Osservazioni queste condivise
anche da Zelensky, che però al contrario dei suoi sostenitori occidentali non ha rigettato in blocco il
documento cinese.

La posizione dialettica di Zelensky
In una conferenza stampa tenutasi lo stesso 24 febbraio, pur non ritenendo il documento cinese un
“piano di pace” e condividendolo solo in parte, il presidente ucraino ha detto di ritenere “molto
positivo” il fatto che la Cina abbia iniziato a parlare dell’Ucraina e di come far finire la guerra, e ha
posto l’accento sui due punti riguardanti il principio del rispetto dell’integrità territoriale e della
sicurezza nucleare, su cui “è necessario lavorare con la Cina”. Ha sottolineato però che “se il
principio del rispetto dell’integrità territoriale non prevede il ritiro di tutte le truppe russe dal
territorio dell’Ucraina, allora questo non va bene per il nostro Stato”; e che “il soggetto e l’iniziatore
delle proposte di pace può essere solo lo Stato sul cui territorio si sta svolgendo la guerra. E
l’Ucraina ha già proposto la Formula di pace” (il piano di pace in 10 punti presentato da Zelensky,
che ripubblichiamo a parte ndr). Il leader ucraino ha anche auspicato la possibilità di incontrare il
presidente cinese Xi Jimping. Solo il tempo potrà dire se questi suoi auspici si dimostreranno
fondati oppure la mossa cinese è solo un tentativo di far guadagnare altro tempo a Putin, mentre
intanto Pechino stringe il suo partenariato strategico con Mosca.
Anche questo però dovrebbe far riflettere gli anticapitalisti e pacifisti in buona fede che credono che
Zelensky sia solo un burattino in mano agli imperialisti occidentali. Invece non solo dimostra una
propria capacità e indipendenza di giudizio da essi, ma di essere un leader che sa conciliare una
fermezza granitica nel mantenere i principi con la necessaria flessibilità e apertura mentale per
cogliere tutte le opportunità per isolare l’aggressore russo e favorire una giusta via d’uscita dalla
guerra. Ma che per essere tale non può che basarsi su due principi irrinunciabili: qualsiasi trattativa
di pace deve essere essere decisa liberamente dalla stessa Ucraina aggredita; qualsiasi soluzione di
pace deve garantire un’Ucraina libera, indipendente, sovrana e integrale.
1 marzo 2023
Articolo de “Il Bolscevico”, organo del PMLI

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