Giù le mani da Dante Sangiuliano come Mussolini si appropria di Dante per dare
autorevolezza alla cultura del neofascismo
ll neo ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha piantato un’altra bandiera della
strategia governativa per dare autorevolezza alla cultura del neofascismo: “So di dire
una cosa molto forte, ma penso che il fondatore del pensiero di destra italiano sia
Dante Alighieri” , ha detto infatti il ministro intervenendo il 14 gennaio a Milano ad una
manifestazione di Fratelli d’Italia in vista delle elezioni in Lombardia. Ed ha rincarato:
“quella visione dell’umano della persona la troviamo in Dante, ma anche la sua
costruzione politica credo siano profondamente di destra ”.
L’enormità della sua rivendicazione ha suscitato scalpore, ma le reazioni anche
indignate di certi intellettuali e giornalisti della “sinistra” liberale borghese non ne
hanno colto appieno la pericolosità e il disegno neofascista che essa sottende. Tali
reazioni si sono concentrate infatti soprattutto sull’assurdità di voler attribuire ad un
personaggio del ‘300 categorie moderne come quelle di destra e sinistra, nate dalla
Rivoluzione francese e divenute comuni solo nel corso del 1800. Qualcun altro, come
per esempio il pennivendolo de La Repubblica , Francesco Merlo, per il quale “Dante
appartiene a tutti e ognuno vi ritrova sé stesso ”, ne ha approfittato addirittura per una
tirata anticomunista, ricordando che “anche Marx, economista e filosofo, si ispirò a lui
”, ma solo per concludere velenosamente che “Marx ed Engels non capirono che il
paradiso-comunismo sarebbe stato un inferno ”. E così invece di attaccare il
neofascismo finisce fatalmente per attaccare frontalmente il comunismo.
Pochi altri invece, tra cui Tomaso Montanari su Il Fatto quotidiano del 15 gennaio,
hanno cercato di andare più a fondo ricordando che l’appropriazione di Dante da
parte della destra risale al fascismo Mussoliniano. Già nel 1921, infatti, ricorrendo il
6° centenario della morte del sommo poeta, parlando a Ferrara Mussolini proclamava
che “noi fascisti faremo in modo che tutti gli italiani abbiano l’orgoglio di appartenere
alla razza che ha dato Dante Alighieri” . E quello stesso anno il capo delle
squadracce fasciste, Italo Balbo, guidò una “marcia su Ravenna”, prototipo di quella
dell’anno dopo su Roma, che si concluse davanti alla tomba del poeta.
Lo stesso inno delle camicie nere, “Giovinezza”, conteneva un richiamo a Dante (“La
vision dell’Alighieri oggi brilla in tutti i cuor ”). Durante il regime, poi, si sprecarono i
tentativi di esaltare Dante come un precursore del fascismo, arrivando perfino, come
ricorda Luciano Canfora, ad attribuire alla venuta del “veltro” invocata dal poeta nel I
canto dell’Inferno una premonizione dell’arrivo di Mussolini come salvatore dell’Italia.
Il duce aveva progettato anche la costruzione di una sorta di mausoleo monumentale
per il poeta a Roma, il Danteum, di cui poi non se ne fece nulla. Lo stesso
Sangiuliano, in una lettera al Corriere della Sera del 15 gennaio, in risposta alle
critiche ricevute, si rifà al filosofo del fascismo, Giovanni Gentile, autore della riforma
fascista della scuola e ministro della Cultura della cosiddetta “Repubblica Sociale
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Italiana” nonché quel liberale di destra che distinguendosi dal liberale di “sinistra”
Croce cercò più di tutti di dare al fascismo una sistematica egemonia della
concezione fascista del mondo sul fronte culturale. Giustiziato dai partigiani per
ordine del CLN nel 1944 a Firenze, per confermare con le sue parole che “con Dante
comincia ad affermarsi idealmente l’Italia ”.
Fascismo, Dante e “identità nazionale”
Il tentativo di annettere Dante alla destra è un antico vizio del fascismo, che si
rinnova non a caso oggi che il fascismo è tornato al potere, dopo aver compiuto una
nuova marcia su Roma parlamentare ed elettorale, nella nuova forma e con le nuove
insegne del neofascismo capeggiato da Giorgia Meloni. Del resto questo vizio non si
era mai interrotto, visto che il fondatore del MSI e padre spirituale e politico
riconosciuto della Meloni, il fucilatore di partigiani Giorgio Almirante, come si legge
nell’epitaffio online dedicatogli dal Circolo monarchico “Dante Alighieri” (per
l’appunto), “nel 1937 si laureò in lettere con una tesi sulla fortuna di Dante Alighieri
nel Settecento italiano ”, e “lo citava sempre in parlamento e nei comizi, a memoria, e
a lui si richiamava più che a ogni altro autore o pensatore ”.
Dunque, per quanto oscena e provocatoria, la tesi di Sangiuliano di un Dante padre
spirituale della destra, non è affatto nuova ed è sempre stata un cavallo di battaglia
del fascismo vecchio e nuovo, da Mussolini, ad Almirante, fino a Giorgia Meloni. A
conferma di ciò si prenda l’“appello ai patrioti ” che quest’ultima fece nel discorso
finale al II Congresso di FdI a Trieste nel 2017, che lanciò la sua lunga corsa verso
Palazzo Chigi: tra i riferimenti patriottici dell’“Italia che vogliamo ”, accanto “all’Italia
del militare che porge gli occhiali alla bambina irachena e sa che quello potrebbe
essere il suo ultimo gesto ”, e a quella “di Fabrizio Quattrocchi e del suo orgoglio in
punto di morte che cancella l’Italia degli spaghetti e mandolino ”, citò non a caso
anche “l’Italia delle parole laiche di S. Agostino e dei versi sacri di Dante Alighieri ”.
Subito prima aveva rivolto un appello “ai pensatori, agli intellettuali, agli studiosi, a
chiunque abbia qualcosa da dire, a portare legna al fuoco delle nostre idee ”, perché
“FdI 2.0 deve avere anche un livello culturale che finora non abbiamo avuto il tempo
di elaborare ”. E nelle conclusioni chiarì anche quali erano e da dove venivano quelle
idee che “i pensatori e gli intellettuali ” erano chiamati a diffondere, quando proclamò
che “a coloro che ci vorrebbero senza patria, senza religione, senza famiglia, perfino
senza sesso, noi rispondiamo con la parola ‘identità’ ”. E quando, presentando il
nuovo simbolo di FdI, acclamata con un’ovazione, spiegava con orgoglio che
“abbiamo scelto di mantenere la fiamma tricolore perché noi siamo figli di quella
storia, perché vogliamo ricordarci da dove nasce tutto questo ”.
Il disegno di egemonia culturale dei neofascisti
Dunque, non solo la neofascista Meloni non rinnega nulla dell’eredità del fascismo e
del MSI, e anzi lo rivendica, checché ne dicano certi opportunisti alla Cacciari che la
accreditano come “maturata ” in senso liberale e quasi diventata “draghiana ” perché
costretta ad accettare le regole europee e occidentali per governare; ma proclama
apertamente il suo disegno di riesumare la cultura fascista per farla ritornare in auge
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ed egemone nel Paese. Basti pensare all’impressionante mole di provvedimenti di
chiara impronta neofascista messi in cantiere in pochi mesi dal suo governo, dal
decreto Rave a quello contro le navi delle Ong, dalla controriforma della giustizia ai
ripetuti interventi reazionari e anticomunisti del ministro Valditara sulla scuola, dal
presidenzialismo alla rinomina dei ministeri in chiave autarchica.
E Sangiuliano, ex militante missino e cattolico vicino all’Opus Dei, già vicedirettore
del TG1 e di Libero , direttore del TG2 dal 2018, è stato scelto da lei come la testa
d’ariete per realizzare il suo disegno neofascista per quanto riguarda il campo
culturale. Ovviamente non nelle vecchie forme fasciste già condannate dalla storia,
ma sotto nuove forme più “moderne”, cioè neofasciste. È in questo quadro che il
ministro aveva illustrato al fogliaccio neofascista Libero del 7 novembre quali sono le
tre “parole chiave della nostra narrazione ” che deve sostituire quella oggi dominante,
che a suo dire sarebbe quella del conformismo liberale della “sinistra”: E queste
parole sono, non a caso, “nazione”, “patria” e “modernità ”.
Né conservatore né reazionario, tanto meno padre della destra
Ad aiutare Meloni e il suo ministro a realizzare questo disegno c’è il codazzo sempre
pronto degli intellettuali ansiosi di uscire dal “ghetto” culturale della destra: i vari
Pietrangelo Buttafuoco, Marcello Veneziani, Alessandro Giuli (premiato da Meloni
con la direzione del Maxxi), Giordano Bruno Guerri, alcuni dei quali da lui riuniti alla
festa per il decennale di FdI a ricordare gli autori affini alla destra (e molti anche al
fascismo) da riesumare dall’oblio e riportare in auge, come i futuristi, Soffici, Papini,
Prezzolini, Pirandello, D’Annunzio.
Dante è senz’altro la preda più ambita da annettere a questa sporca operazione
culturale dei neofascisti per darsi lustro, che consiste nell’attribuirgli una cultura di
destra in base alle sue origini sociali aristocratiche (ma non poi tra le più blasonate),
a una sua presunta idea di Italia come “nazione”, la sua “religiosità”, le sue posizioni
favorevoli alla monarchia in epoca di diffusione dei Comuni, e altri argomenti
strumentali di questo tipo per dipingerlo come un “conservatore” e un “reazionario”.
Ma Dante non fu né l’uno né l’altro: era un uomo del suo tempo e date le sue origini
non poteva certo essere un rivoluzionario in senso politico, ma lo fu senz’altro sul
piano culturale e letterario, scegliendo la lingua parlata dal popolo e non dei dotti per
scrivere la sua opera più grande e immortale. Nello scriverla si avvalse delle sue doti
di attento osservatore della vita quotidiana del popolo, utilizzando ampiamente nella
sua Commedia figure, proverbi e forme gergali popolari dandogli dignità poetica, ed è
anche questo che rende ancora moderna e viva la sua opera.
Del tutto falsa è poi la tesi che egli sarebbe stato un antesignano dell’Italia come
“nazione”, non solo perché tale concetto era ben al di là da venire ma anche perché è
ben noto che Dante concepiva l’Italia come facente parte integrante dell’Impero
sovranazionale europeo di allora: un impero per lui ideale, visto come fattore di
concordia tra i popoli, tanto da invocarne l’intervento per pacificare la “serva Italia”
dilaniata dalle lotte tra fazioni. Quanto alla sua “religiosità” tutti sanno che non era
certo tale da impedirgli di vedere chiaramente e fustigare duramente la corruzione
imperante dei papi e della chiesa.
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La grandezza di Dante nelle parole dei Maestri
La grandezza e l’universalità di Dante travalica la contingenza storica e i pregiudizi
della sua epoca, di cui pure non poteva non essere imbevuto come tutti i suoi
contemporanei, e questo l’avevano ben compreso Marx ed Engels. In particolare
Marx leggeva la Commedia in italiano e amava citarne i versi nelle sue opere,
servendosene spesso nei suoi scritti polemici contro i suoi avversari. Tra gli
innumerevoli esempi citiamo la sua prefazione alla prima edizione del primo libro de Il
Capitale del 25 luglio 1867, che si chiude con queste parole: “Sarà per me
benvenuto ogni giudizio di critica scientifica. Per quanto riguarda i pregiudizi
della cosiddetta opinione pubblica, alla quale non ho fatto mai concessioni, per
me vale sempre il motto del grande fiorentino: segui il tuo corso, e lascia dir le
genti ”! Dove la frase finale, adattamento del verso tratto dal V canto del Purgatorio ,
compare in italiano nel testo. E citiamo anche l’introduzione alla precedente opera
Per la critica dell’economia politica del 1859, in cui Marx richiama i versi del III canto
dell’Inferno avvertendo che “sulla soglia della scienza, come sulla porta
dell’Inferno, si deve porre questo ammonimento: qui si convien lasciare ogni
sospetto/ ogni viltà convien che qui sia morta ”.
E come non citare poi il tributo reso da Engels a Dante, col quale ha colto appieno
l’essenza del suo valore, al tempo stesso di uomo immerso ancora nel Medioevo, ma
anche prodotto delle nuove forze economiche e sociali che si stavano affacciando
sulla scena e di innovatore rivoluzionario della cultura del suo tempo? Questa
essenza egli la espose magistralmente nella sua prefazione all’edizione italiana del
1893 del Manifesto del Partito comunista , che si conclude con queste celebri parole:
“Il Manifesto del Partito comunista rende piena giustizia all’azione
rivoluzionaria del capitalismo nel passato. La prima nazione capitalista fu
l’Italia. Il chiudersi del Medioevo feudale, l’aprirsi dell’era capitalista moderna
sono contrassegnati da una figura gigantesca: quella di un italiano, Dante, al
tempo stesso l’ultimo poeta del Medioevo e il primo poeta moderno. Oggi,
come nel 1300, una nuova èra storica si affaccia. L’Italia ci darà essa il nuovo
Dante, che segni l’ora della nascita di questa èra proletaria ”?
Queste parole immortali dei due grandi Maestri del proletariato internazionale sul
sommo poeta bastano e avanzano per ridicolizzare Meloni e tutti i suoi squallidi
tirapiedi come Sangiuliano e compagnia cantante. Neofascisti, mettete giù le mani da
Dante! E chiamano gli antifascisti autentici a capire la pericolosa strategia del
governo neofascista Meloni e a combatterlo nelle piazze e sul fronte ideologico e
culturale.
25 gennaio 2023
PMLI, giù le mani da Dante: no credito al neofascismo
