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Israele e Hamas: cosa sta accadendo e quali i rischi

ISRAELE E HAMAS: COSA STA ACCADENDO E QUALI I RISCHI Di Patrizia Zangla

Scontri, provocazioni, ostilità israelo-palestinesi si susseguono da giorni, è una nuova Intifada o un nuovo conflitto armato tra Israele e Hamas?

Lo stato di  incertezza politica cresce, la nuova classe dirigente palestinese spera si ponga definitivamente fine all’occupazione israeliana e si progredisca nella causa palestinese.

Da giorni ebrei di estrema destra appiccano il fuoco a negozi e terrorizzano i quartieri arabi, cittadini palestinesi si sono scontrati con la polizia, negozi e sinagoghe sono date alle fiamme, come al tempo della Seconda Intifada del 2000 e tornano le immagini della guerra del 2014.

La nuova scintilla è data dal dispiegamento di militari israeliani alla Spianata delle Moschee -luogo sacro per i musulmani- e nel quartiere di Sheikh Jarrah, epicentro delle proteste per la richiesta di  sgombero di una trentina di famiglie palestinesi dalle loro abitazioni. I militari sono accolti da una fitta sassaiola. Fa seguito l’ultimatum di Hamas che chiede agli israeliani di ritirare gli agenti dalla spianata, e intanto cominciano a suonare le sirene e i razzi colpiscono il Sud di Israele e la periferia di Gerusalemme.

Il braccio di ferro fra Israele e Palestina

Da anni sono latenti prodromi di guerra, sin dal 1948 quando David Ben Gurion proclamava la Dichiarazione di indipendenza che sanciva la nascita dello Stato di Israele, e da allora se gli israeliani celebrano la “Giornata di Gerusalemme” – la conclusione della Guerra dei Sei giorni del 1967- i palestinesi non dimenticano la “Nakba”, catastrofe, l’espulsione di centinaia di migliaia di famiglie palestinesi, allontanate dai loro villaggi e dalle loro case da quel territorio che oggi è lo Stato d’Israele.

La cartina geografica ricorda che questo è un territorio stretto e lungo al cui centro è situata la città sacra di Gerusalemme, posta tra  Gerusalemme Ovest -prevalentemente israelita- e Gerusalemme Est -dai molti insediamenti palestinesi- e una striscia di territorio al confine, la Striscia di Gaza. Una striscia da sempre vulnerabile.

In atto, un crescendo di tensione intorno a Gerusalemme, ponderato è il rischio di una nuova guerra civile. Nel 2005 Ariel Sharon decideva il ritiro unilaterale da Gaza e dal 2014 nei territori regna la pax.

Un rapido esame ci aggiorna.

In Israele da quindici anni domina la scena Benjamin Netanyahu, nell’ambiente politico lo chiamano “King Bibi”, è il primo ministro su cui pesa un’inchiesta di corruzione. La sinistra israeliana gli rimprovera molto: gli attribuisce la responsabilità di avere innescato i prodromi per la sollevazione delle comunità arabe che vivono ad Israele e di servirsene strumentalmente per aprire la crisi e il fuoco nemico allo scopo di non raggiungere la tregua. 

C’è chi pensa che questa circostanza possa giovargli, una rocambolesca inversione a suo vantaggio, che invece di allontanarlo definitivamente dalla scena politica potrebbe avvicinarlo: un premier richiamato dalla nuova situazione d’emergenza. Nel recente passato in più occasioni è apparso come garante di sicurezza e stabilità del Paese, avrebbe pertanto da guadagnare da questa congiuntura critica. Non va sottaciuto che l’incertezza politica in Israele ha favorito l’ascesa di movimenti nazionalisti e di estrema destra e, per converso, è cresciuto il coinvolgimento della popolazione araba di Israele.

In Palestina da tempo aleggia un impalpabile malcontento, le nuove generazioni di palestinesi non si riconoscono in alcun partito o organizzazione tradizionale, Hamas – nata nel 1987 dopo la prima Intifada come organizzazione combattente islamica, oggi gode di grande popolarità, propone il ritorno della Palestina alla sua condizione precoloniale e l’istituzione dello Stato di Palestina coi suoi confini del 1967- reclama la difesa di Gerusalemme attraverso il suo presidente, l’ottantacinquenne Mahmud Abbas, che non ha molte carte da giocare se non quella di strenua difesa del suo popolo.

Fino a quando potrà contare sui negoziati di pace e contenere la politica sionista, imperialista di Israele?

Il problema è profondo e radicato, è in atto una occupazione territoriale che sembra non sia più tollerabile.

  La situazione internazionale C’è ancora spazio per la mediazione? E per una mediazione internazionale in Medio Oriente? È in atto una fase di stallo internazionale, una impasse da cui sembra non si voglia uscire, a parte la dichiarazione del Pontefice che rompe ogni muro diplomatico, reclamando il riconoscimento dello Stato Palestinese. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, più volte riunitosi in queste settimane, è arroccato su posizioni equidistanti: reclama la cessazione delle ostilità che controbilancia con il diritto di Israele di difendersi e con il sostegno dei palestinesi all’autodeterminazione. Ma nel frattempo l’opinione pubblica e la politica statunitense si chiedono se il neopresidente Biden apporterà modifiche alla linea politica del predecessore Trump che nel 2020 ha siglato gli Accordi di Abramo -dichiarazione congiunta di normalizzazione tra Israele, Emirati Arabi e Stati Uniti – e in queste ore molte testate stigmatizzano la violazione dei diritti umani commessi da Israele nei confronti dei palestinesi.  Biden, dato per vicino a Netanyahu – linea non conforme al Partito Democratico, già nel 2013 il presidente Obama, in visita ad Israele e nei Territori Occupati, aveva definito giusta e necessaria la pace, “perché Israele rimanga uno Stato ebraico serve nasca una Palestina libera”- ha fatto infatti sapere di voler disimpegnare gli Stati Uniti dal Medio Oriente.     Altri interrogativi aleggiano. Gli alleati americani prenderanno posizione sui fatti? Anche in Italia si avverte molta equidistanza dall’attuale situazione, come sul fronte UE, l’Unione Europa è cauta, divide in parti uguali colpe e responsabilità della crisi. Se in queste ore le capitali arabe tacciono, a parte la dichiarazione congiunta del segretario della Lega Araba Ahmed Aboul Gheit di condanna di Israele, sono invece pericolosamente aggressive quelle della Turchia di Erdogan, che avrebbe tutto l’interesse a soffiare sul fuoco. Non stupisce certo la visione ambiziosa e imperialista del presidente turco. E a sorpresa interviene Pechino, che si propone come mediatrice a rappresentanza di una Cina che ha lasciato alle spalle ogni forma di isolazionismo e si tuffa nella scena internazionale.   Israele: fermati!  Altre volte è accaduto nella Storia che le situazioni rapidamente precipitino e negli anfratti scoperti si insinuino fanatismi, estremismi. In queste ore si stanno verificando episodi violenti non solo ai confini d’Israele, ma nella “città miste”, dentro Gerusalemme: gruppi neofascisti di Israele ripetono “Mavet laaravim”, morte agli arabi, e per converso i palestinesi gridano “yahoud kalabna”, gli ebrei sono i nostri cani, dando alle fiamme le bandiere israeliane. Gli scontri si stanno intensificando con gli scambi di razzi tra Israele e la Striscia di Gaza, la situazione di Gerusalemme Est potrebbe sfuggire dal controllo, ma quanto appare immediato è la richiesta di revisione della linea politica di Israele di nitida impronta sionista, segregazionista, razzista e colonialista.  Mentre è ormai chiaro che gli Accordi di Oslo del 1993 sono tramontati come l’idea dei due popoli sotto un’unica bandiera, un’altra domanda attanaglia: Israele potrà in futuro convivere con questo peso che graverà come un macigno sulle future generazioni di ebrei, e non solo di ebrei? Sottotraccia c’è il rischio che l’attuale politica di Israele di chiara pratica imperialista possa pregiudicare la lettura corretta dei fatti terribili della Shoah e la conoscenza degli orrori commessi a danno del popolo ebreo, perseguitato e sterminato con una pianificazione che non ha pari nella storia dell’umanità. Possa cioè innescarsi una semplificazione -come le tante del nostro tempo- che allontani dalla corretta lettura della storia del XX secolo e attivi un perverso ragionamento che collochi in un’inopportuna e antistorica equivalenza la Shoah con il martirio palestinese. Il genocidio degli ebrei ha una propria singolarità nella Storia perché il regime nazista ha deciso, pianificato luogo e i tempi in cui lo sterminio doveva avvenire, attuato uno sterminio industrializzato e razionalizzato funzionante come una catena di montaggio, contraddicendo ogni logica economica e militare in quanto lo sterminio è divenuto la finalità del regime medesimo (cfr. P. Zangla, 1943-1945: L’Italia in camicia nera, Leone Milano). E cosa più grave che si realizzi un’antistorica equivalenza fra le pratiche naziste e le attuali violenze israeliane. Anche di questo Israele sarà chiamata a rispondere. Come la comunità internazionale sarà chiamata a rispondere se non si dovesse trovare un modo per arginare l’attuale vento di guerra israelo-palestinese, vento che potrebbe cominciare a soffiare ben oltre i confini della Striscia di Gaza. 

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