Mission non facile, quella del giornalista, specie oggi che il giornalismo militante – che attinge direttamente alla realtà e non al web – è sempre più ristretto agli inviati di guerra o, al massimo, a una sparuta minoranza di tenaci e volenterosi. Particolarmente delicato, poi, il rapporto del giornalista con il potere, cioè con quella serie di azioni da cui dipende il benessere della collettività. Collettività che, grazie a sistemi elettorali opachi e farraginosi, spesso non è messo nelle condizioni di prendere parte alle decisioni di pubblico interesse.
Ogni giorno l’informazione si misura con l’esercizio di un potere che finisce per virare verso l’autoreferenzialità se non si prendono le opportune misure per evitarne la deriva. Ma quando si rischia la deriva del potere? Certamente quando si abusa dell’istituto dell’immunità parlamentare o del cosiddetto “segreto di Stato”. Cos’è il segreto di Stato? E’ la mancata divulgazione di una notizia a causa del pericolo legato all’impatto che potrebbe avere nell’opinione pubblica. La discrezionalità di questa valutazione, infatti, a chi altri è affidata se non al potere stesso? Ecco cosa intendevo, poc’anzi, per autoreferenzialità.
Oltre al pericolo dell’autoreferenzialità, c’è quello dell’autocelebrazione, che ha luogo ogni qual volta il potente di turno piega ad usum proprium l’informazione, riservandosi di apparire in prima persona per comunicare notizie che potrebbero invece essere benissimo veicolate da un portavoce. Le dichiarazioni e le interviste rilasciate dai potenti alle volte diventano vere e proprie esibizioni estetico-muscolari cui la stampa si presta perché, in ogni caso, “fa notizia”. E penso anche alle conferenze stampa dov’è capitato che uomini politici maltrattano e a volte perfino accusano di falsità giornalisti rei di aver rivolto loro domande cui non sapevano dare risposta.
Una di queste domande riguarda sempre, in casi del genere, la vita privata di quei determinati uomini politici – e noi, con le ben note vicende berlusconiane ne sappiamo qualcosa – al che il potente di turno usa trincerarsi dietro il silenzio minacciando querele contro chi vorrebbe sfondare quel muro di silenzio. Malgrado la legge affidi alla Magistratura il compito di stabilire, da caso a caso, se possa configurarsi il reato di violazione della privacy, non può comunque venir meno, nei giornalisti, l’obbligo di informare. E, nei cittadini, quello di sapere.
Personalmente, la vedo così: la vita privata di un uomo politico, o di chiunque svolga un ruolo che abbia una ricaduta pubblica, non può essere vincolata dal vincolo della privacy per tutti quegli aspetti che attengono all’etica e alla conseguente adozione di comportamenti che si riflettono sulla vita degli altri. Chi amministra il potere, assumendo decisioni destinate ad avere effetti sulla comunità, ha pertanto il dovere di mantenere integra la propria moralità e pertanto spazzolare sempre, quando ve ne sia bisogno, i propri panni ogni mattina prima di recarsi al lavoro. Un conto è uno schieramento di guardie del corpo per evitare che un uomo pubblico sia molestato da fotografi e curiosi, altro conto un pool di servizi segreti incaricato di coprire le sue magagne.
Il controllo della vita privata dei capi politici, che hanno in mano la sorte d’intere comunità, dovrebbe inoltre esser sempre scevra da connivenze con gli organi della giustizia. Nessuna remora, dunque, nell’indagare e se è il caso sanzionare un potente, indifferentemente dal fatto se abbia rubato una penna in un supermercato o riscosso una tangente milionaria. Nessun cittadino, dall’uomo della strada all’uomo più potente della terra, può ritenersi al di sopra della legge, Qualche decennio addietro, negli USA, un impeachment senza precedenti costrinse alle dimissioni il presidente Nixon travolto dallo scandalo Watergate.
In Italia, anche in virtù della cavillosa fattispecie giuridica della “presunzione d’innocenza”, ben pochi sono i politici che rimettono il mandato in seguito alla comunicazione di un avviso di garanzia a loro carico. Non mi risulta che in altre nazioni europee, come ad esempio nel Regno Unito, ci si comporti allo stesso modo. Da noi, c’è poi sempre una certa remora a indagare sui potenti, a volte per servilismo altre per una sorta d’inconscio soggiogamento nei confronti del potere, tema sul quale Carl Gustav Jung, con la sua teoria degli archetipi, potrebbe dirci tanto.
Nel mio noir “L’albero di magnolia”,ispirato, come quelli che l’hanno preceduto, a vicende giudiziarie realmente avvenute, il ritrovamento di un cadavere in un quartiere malfamato cittadino, viene frettolosamente archiviato come omicidio colposo. Un’indagine parallela, condotta in clandestinità, evidenzierà che dietro quella morte si muove tutta una trama di ricatti e sordidi intrecci con il potere costituito. Il quale tuttavia riuscirà ancora una volta a impedire che il castello di menzogne messo in piedi dalle corrotte istituzioni sia smontato.
Cosa significa? Che il cittadino ha il diritto di sapere, il giornalista il dovere di informare, l’uno e l’altro il diritto-dovere di venire a capo della verità.
Fino a quando questo non si capirà, e soprattutto non ispirerà le coscienze di chi ha in mano le leve del potere, la privacy di chi conta sarà colpevolmente tutelata in nome della difesa dei suoi privilegi personali.