ITALIA OCCULTA, LA P2 DI GELLI DAGLI ANNI ’70 ALLA STRAGE DI BOLOGNA di Patrizia Zangla
Dal marzo 1981 sono trascorsi quarant’anni, è la primavera in cui inaspettatamente vengono scoperte le liste della P2, e con esse una trama di relazioni internazionali e nazionali che lega fatti a segreti, non pochi dei quali tuttora sconosciuti. L’Italia non si è interrogata, nell’immediato indignata e, spenti i riflettori, ha dimenticato. Nell’agosto precedente a Bologna una bomba aveva fatto saltare la stazione ferroviaria con il bilancio di 85 morti e 216 feriti.
Non lo sapevamo, ma la P2 permea i gangli dello Stato.
Non sapevamo che nel corso degli anni ’70, la P2 è un centro occulto di potere.
Chiamata in causa nei più grandi scandali della storia d’Italia: strategia della tensione, tentato golpe del principe Borghese, crack Sindona, caso Calvi, scalata ai grandi gruppi editoriali, controllo del Corriere della Sera, e ancora caso Moro, mafia, tangentopoli.
Non sapevamo che muove i fili un abile burattinaio, Licio Gelli.
Il venerabile, Licio Gelli
Quale uomo in quegli anni non vorrebbe un abito Lebole?
E quale italiano non conosce la canzoncina pubblicitaria Bi di bodi bu … dei materassi Permaflex?
Entrambe conducono a Licio Gelli.
Socio dei fratelli Lebole, proprietario dello stabilimento Gio.Le di Castiglion Fibocchi e direttore dello stabilimento di Frosinone della nota fabbrica di materassi, all’inaugurazione dello stabilimento di Frosinone ci sono Edgardo Lami Starnuti, ministro per il Mezzogiorno, Giulio Andreotti, ministro della Difesa e il cardinale Alfredo Ottaviani, immortalati in una foto, e per quella di Prato si bisbiglia ci siano gli amici dell’Anello di Andreotti. Dal 1963 entra nel GOI, Grande Oriente Italia, tre anni dopo il Gran maestro Gamberini lo trasferisce alla Loggia «coperta» «Propaganda 2» per rinvigorirla con l’adesione di personaggi pubblici tutelati dalla riservatezza, sarà nominato Gran Maestro pro tempore segretario organizzativo della «Loggia Propaganda Massonica Numero due all’Oriente di Roma».
La sua biografia riferisce di cammei, titoli e onorificenze. Balilla, volontario in Spagna, decorato da Francisco Franco, saloino. Titolo di studio diploma di Terza Media. Finita la guerra, sembra sia già in contatto con la Cia di cui sarebbe agente per impedire l’insorgenza comunista. Ha la doppia cittadinanza, italiana e argentina, una nomina di consigliere economico dell’Ambasciata argentina di Roma. E tante relazioni importanti. Ha coltivato rapporti anche coi militari golpisti argentini.
In quella giornata di primavera del marzo 1981 alla Gio.Le di Castiglion Fibocchi a nord di Arezzo di proprietà di Gelli, i giudici milanesi Gherardo Colombo e Giuliano Turone indagano sul finto sequestro di Michele Sindona, il banchiere originario di Patti nel messinese che a Milano aveva fatto fortuna -nel 1986 sarà trovato nella sua cella nel carcere di Voghera stroncato da un caffè, la magistratura riferisce si sia trattato di “un suicidio attraverso la simulazione di un omicidio”- avviano la perquisizione di Villa Wanda, dove è trovata una valigia con lucchetto e una cassaforte al cui interno buste sigillate contenenti delle liste. Un lungo elenco di nomi. Due mesi più tardi rese pubbliche dal presidente del Consiglio Giovanni Spadolini.
Gelli è irreperibile, è già fuggito in Svizzera.
Arrestato l’anno dopo, condotto nel carcere di Champ Dollon da cui riesce a scappare, quindi a riparare in Sudamerica tra Venezuela e Argentina prima di costituirsi a Ginevra nel 1987. Non cessa di stupire: estradato in Italia, resta in carcere pochi giorni, ottiene la libertà provvisoria per motivi di salute. Dieci anni più tardi lo raggiunge un nuovo ordine di arresto, che il ministero della Giustizia revoca: il reato di procacciamento di notizie riservate non è tra quelli per cui è stata concessa l’estradizione. Nel 1998 la Cassazione conferma la condanna a 12 anni per il Crack del Banco Ambrosiano, ma nuovo colpo di scena: Gelli è di nuovo irreperibile, la fuga dura più di quattro mesi.
Ai domiciliari, scontati a Villa Wanda -sequestratagli a conclusione di una indagine per debiti col fisco, rientrata nella sua disponibilità per la prescrizione dei reati fiscali- dove muore nel 2013, poco prima audito dai pm di Palermo per l’inchiesta Stato-mafia e per gli intrecci tra P2 – Servizi ed eversione.
Secondo i magistrati Libero Mancuso (processo Strage di Bologna, depistaggi P2 e Servizi segreti) e Attilio Dondini, dispone di un ufficio annesso al Ministero della Difesa con un proprio numero telefonico, da cui gestisce i rapporti tra Massoneria e Servizi, per queste operazioni usa il nome di Filippo. Nara Lazzerini, per anni sua segretaria personale dirà che utilizza quello di Marco (Cfr. Gelli e Sindona in Silenzio di piombo, Patrizia Zangla, Ed. Leone 2020).
P2?
Chi sono gli aderenti alla P2? Cos’è la P2? Cos’è lo Stato parallelo?
Negli elenchi 962 nomi, persone note o ai più sconosciuti ma nomi che contano nel progetto gelliano di cambiamento dell’assetto italiano, nomi della politica -ministri (della Dc, Gaetano Stammati e Paolo Foschi) e parlamentari (44 di tutti gli schieramenti salvo il PCI) – delle alte cariche delle Forze dell’Ordine (12 generali dei Carabinieri, 5 della Guardia di Finanza, 22 dell’Esercito, 4 dell’Aeronautica, 8 ammiragli), della finanza – come Michele Sindona e Roberto Calvi- dell’imprenditoria – come Silvio Berlusconi- dell’editoria e del giornalismo – come Bruno Tassan Din, direttore generale della Rizzoli, lo stesso Angelo Rizzoli e il direttore Franco Di Bella, ma anche Roberto Gervaso e Maurizio Costano, persino Vittorio Emanuele di Savoia. Ed ancora magistrati di varie correnti, prefetti, questori, l’intero gruppo dirigente dei Servizi segreti italiani – Santovito del SISMI, Grassini del SISDE, e Umberto D’Amato, direttore dello UAR, Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno.
Molti negano l’appartenenza, molti dicono di non sapere, i più tacciono. Il cantante Al Bano racconta di aver ricevuto l’invito di Gelli, e di aver rifiutato.
Come dirà Gelli, fra gli iscritti «non chi vuole fare carriera ma chi ha già una carriera». Il fine non è il potere, ma il suo controllo.
Intrighi, incontri, affari di ingenti capitali, dalle stanze dell’Excelsior di Roma controlla i gangli dello Stato, decide gli appoggi alla politica, al Vaticano – la scia porta alla vicenda del Banco Ambrosiano con un buco di bilancio di oltre 1000 miliardi di lire e al suo presidente Roberto Calvi, piduista, ritrovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri di Londra coi mattoni nelle tasche del paltò- e persino al suicidio della sua segretaria.
Suicidi dall’allarmante cadenza e dai simili copioni comprendenti nomi che non ci aspetteremmo come quello del noto imitatore RAI Alighiero Noschese, massone di alto livello (Cfr. Silenzio di piombo di P. Zangla).
Gelli è “il punto di collegamento” della piramide, connetteva quindi le due parti, quella “inferiore” a quella “superiore”. Sembra che per diletto scrivesse poesie, stravagante il titolo “Ho finito l’inchiostro”. Allusivo?
Al Presidente Giovanni Leone -che non si persuade- presenta il “Piano di rinascita democratica”, prevede una riforma di tipo presidenziale con un’azione di controllo di partiti, Magistratura, stampa e Tv.
La Commissione parlamentare d’inchiesta “Sulla loggia massonica P2” presieduta da Tina Anselmi, onorevole dc, riconoscendo l’autenticità delle liste, ne dichiara lo scioglimento, confermando l’inquinamento e l’alterazione del funzionamento delle istituzioni nazionali.
Le sentenze riferiscono che Gelli ha creato un sistema eversivo di corruzione e ricatti, attraverso cui ha perseguito strategie golpiste – golpe Borghese- disegni autoritari – secondo la Procura di Bologna era in cantiere un golpe da realizzarsi tramite una rete di fedeli-, tollerato bande paramilitari neofasciste, orchestrato episodi criminosi per attribuire alle sinistre o a terzi le azioni e favorire il MSI di Giorgio Almirante, attraverso i Servizi ha assicurato a sé e ai suoi sodali l’impunità, ha protetto latitanti per fatti eversivi e per stragi, ha depistato indagini -strage di Bologna del 2 agosto 1980 di cui (secondo la Procura di Bologna) è anche mandante, organizzatore o finanziatore con Umberto Ortolani, Mario Tedeschi e Federico Umberto D’Amato- ha attuato un’opera di calunnia, disinformazione, di condizionamento politico attraverso detenzione illegale di armi e esplosivi.
Dal 1971 al 1974 con Gelli, animato da un forte anticomunismo, Umberto D’amato che tanto si prodiga
-intensa l’attività di depistaggio delle indagini sull’eversione di destra e nella copertura dei responsabili delle stragi – a sostenere la pista anarchica di Pietro Valpreda nella bomba di Piazza Fontana, madre di tutte le stragi.
D’Amato non è un funzionario qualsiasi, coordina tutti gli uffici politici d’Italia avendo possibilità di condizionamento di tutti gli eventi.
Stazza imponente, aria paciosa da vero goloso, e fine esperto di gastronomia. Amava la buillabaise, piatto tipico della cucina di Marsiglia -dov’era nato- una zuppa di pesce in cui si aggiunge un pizzico di zafferano.
Un sospetto di zafferano.
C’è un numero di un conto svizzero e il nome di “Bologna”, c’è un accredito di Gelli a favore di “‘Zaf”, secondo la Procura Generale bolognese, il riferimento del suo coinvolgimento nella strage di Bologna. Zaf è un nome in codice. D’altronde, anche nelle liste P2 ci sono nomi in codice.
Francesco Cossiga e Giulio Andreotti non vi comparivano. Entrambi statisti accurati, attenti, capaci.
In un’intervista a Licio Gelli, si legge:
«Giulio Andreotti sarebbe stato il vero padrone della Loggia P2?
Per carità… io avevo la P2, Cossiga la Gladio e Andreotti l’Anello.
L’Anello? Sì, ma ne parleremo la prossima volta».
Gli iscritti alla P2 erano 2400, probabile ci fosse un’altra lista con nomi veri e importanti. Custodita in Uruguay?